Appesi a un filo elettrico in totale
dipendenza dall'energia, il prezzo della globalizzazione
Se ne parla da anni della
globalizzazione, chi favorevole e chi no, fatto sta che ci
dobbiamo fare i conti quotidianamente, tutto è interconnesso e
dipende da un unica fonte, l'energia. Gli Stati più influenti
nella politica mondiale non sono più quelli che posseggono armamenti
migliori, ma quelli che posseggono materie prime. Un esempio lampante
lo abbiamo dalla crisi russo-ucraina: non è tanto la minaccia dei
carri armati che domina la scena quanto la minaccia del gigante
sovietico di sospendere le forniture di gas. Stati Uniti, Russia,
Cina e Australia dispongono di territori così vasti da potersi
permettere una certa autonomia energetica, sia per quanto
riguarda le fonti minerali (gas, petrolio e carbone) sia per quanto
riguarda quelle alimentari e possono utilizzare il sur plus come
eccellente forma di scambio.
E' evidente che un piccolo Stato in
regime di autarchia non ha più speranze di sopravvivenza ed
ecco il vero motivo per cui si tenta di dare maggiore coesione ed
importanza all'Europa Unita: più è vasto un territorio
minore è la dipendenza energetica da altri Stati e più
incisivo è il potere della globalizzazione. Però, come
risorse energetiche, non dobbiamo limitarci solo a quelle
prettamente derivanti dal sotto suolo, dal mare o dalla forza del
vento, ce n'è una, apparentemente impalpabile, ma straordinariamente
potente che è quella intellettuale. Infatti sono sempre di più le
nazioni che hanno fatto della ricerca il loro punto di forza. Il
Giappone, per esempio, non può contare su una particolare vastità
di territorio ma, nonostante la sconfitta subita nella 2° guerra
mondiale, è riuscita a porsi come una delle maggiori potenze
tecnologiche del pianeta.
Da queste semplici e quasi banali
considerazioni si capisce come, nonostante le auto celebrazioni che i
politici fanno sul nostro sistema Italia, nonostante le nostre
eccellenze nel campo scientifico e culturale, il nostro Paese non
riesce ad arginare la cosiddetta fuga di cervelli all'estero, mentre,
anziché puntare su una concreta integrazione globale con
l'Europa, si vede teatro di anacronistici secessionismi che mirano ad
una frammentazione che si spaccia per federalismo. La nostra
principale fonte di approvvigionamento energetico in realtà è
nelle scuole e nelle università, nel nostro immenso patrimonio
artistico e, che si voglia o meno, è il nostro miglior contributo
che possiamo mettere in campo in questa inevitabile globalizzazione
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