giovedì 28 agosto 2014

Le multinazionali dell'informazione, censura e libertà di stampa

Twitter, Facebook e YouTube travalicano il proprio ruolo di piattaforme sociali ed applicano la censura secondo i propri criteri personali

Multinazionali_dell'informazione
In tempi non ancora sospetti come oggi questo blog pubblicò un articolo dal titolo volutamente provocatorio: “Google, semplice motore di ricerca o anche strumento della massoneria e dell'Ordine Mondiale?” Era il 6 aprile di questo stesso anno, nel mondo si combattevano solo le solite guerre di “routine”, quelle che fanno poca notizia, ma quel post ricevette lo stesso numerosi commenti tra favorevoli e contrari, soprattutto contrari in verità, in uno (non si capisce da dove sia giunta l'intuizione) si muovevano persino accuse di anti-semitismo.
Oggi, i fatti sono cambiati e anche molto rapidamente: crisi ucraina, guerra israelo-palestinese e, non ultima, la minaccia dell'ISIS verso il mondo occidentale. Le incursioni di Boko Haram in Nigeria e negli Stati limitrofi sono quasi del tutto scomparse dalla cronaca, l'estendersi incontrollato del virus Ebola nell'Africa centro occidentale è “oscillante” nei commenti dei media, forse meglio tacere per non creare eccessivi allarmi... e ritorna prepotente il problema dell'informazione: quali sono le fonti, ma soprattutto quali sono i “filtri” di queste fonti?
Le risposte sono semplici e sotto gli occhi di tutti: ciascuno di noi può essere una potenziale fonte, i nostri cellulari tuttofare ci consentono di essere cronisti immediati degli avvenimenti: girare video, scattare foto; registrare file audio oramai è un gioco da ragazzi e postare tutto online in tempo reale è già “automatizzato” nei dispositivi, ma dove vanno a finire questi dati? Anche questa è una domanda ovvia: finiscono su Google, Facebook, Twitter, Instagram e YouTube, per citare solo i più noti.
A questo punto però si pone una domanda assai spinosa sollevata da Ronan Farrow il 10 luglio scorso sulle pagine del Washington Post: “Why aren't YouTube, Facebook and Twitter doing more to stop terrorist from inciting violence?” (Perché YouTube, Facebook e Twitter non fanno di più per fermare l'incitamento alla violenza dei terroristi?)
Farrow, ex funzionario di Stato e portavoce dell'UNICEF nonché editorialista per MSMBC, richiama alla memoria le atrocità compiute in Ruanda circa vent'anni fa quando una radio di quel Paese contribuì ad alimentare il reclutamento con questo slogan: “Le tombe sono solo mezzo vuote, chi ci aiuterà a riempirle?” La crisi, che si concluse nel 1994, fu definita il “genocidio ruandese” e vide coinvolte per quattro anni le due principali etnie del Paese: gli Hutu e i Tutsi.
Nella sua lettera al quotidiano, Farrow pone l'accento sul fatto che, a differenza del 1990-94 ora gli strumenti di comunicazione sono cambiati e quindi chiede una politica diversa sul meccanismo di filtraggio delle informazioni in rete.
Volenti o nolenti, pro o contro, la questione si sposta su un altro campo altrettanto delicato, quello della censura e di chi, eventualmente, può esercitarla in nome di un diritto collettivo alla sicurezza.
In un tweet lanciato questa settimanada, Dick Costolo, CEO dell'uccellino azzurro, fa sapere che verranno sospesi tutti gli account legati in qualche modo alle immagini della decapitazione di James Foley, il giornalista americano ucciso in Siria da un militante dell'ISIS, ma in un articolo pubblicato su The Guardian il 21/08/2014 a firma di James Palla, si ricorda come Twitter sia nato all'insegna del motto: “L'ala di libertà di parola del partito della libertà di parola”
A parte questa contraddizione che potrebbe essere giustificata dal forte impatto emotivo del filmato (tra l'altro messo in discussione da alcuni, almeno per quanto riguarda le modalità tecniche di acquisizione), rimane il fatto che lo stesso è stato presentato in rete non solo da semplici utenti dei social network, ma anche da prestigiose testate giornalistiche di rilevanza mondiale. Saranno bannate anche queste dalla piattaforma Twitter?
Entrano allora in gioco la libertà di stampa e il diritto del cittadino ad essere informato.
Attualmente, in tutto il mondo, Facebook ha circa 1,23 miliardi di utenti attivi, Twitter quasi 300.000.000 e YouTube, il canale di Google dedicato al video sharing, ha recentemente dichiarato un fatturato mensile di 1 miliardo di dollari, tutte attività, o meglio multinazionali dell'informazione, che gestiscono fatturati astronomici nel quasi totale monopolio dell'informazione globale. Un potere enorme quindi, capace di orientare i consumi non solo nel campo commerciale, ma anche, e soprattutto, in quello sociale e di conseguenza politico.
E' un errore considerare tutti gli utenti dei social come potenziali vittime di un reclutamento psicologico verso uno schieramento o verso un altro, anche se alcuni fatti suggeriscono una certa prudenza nel diffondere certe informazioni senza valutarne le conseguenze, ma resta un fatto: imporre una censura significa sentirsi autorizzati a stabilire il sottile confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato privando gli individui della libertà di scelta. Se questa censura è odiosa quando è esercitata dai governi lo è ancora di più quando sono le multinazionali ad applicarla

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