Se l'Europa pensava, con le sanzioni decise il 30 agosto scorso, di mettere la Russia in imbarazzo ora deve fare i conti con la discontinuità della sua politica estera
Can che abbaia non morde, sembra
pensare Putin di fronte a tutta le serie di lacci e lacciuoli che
l'Europa ha messo in atto il 30 agosto scorso nei confronti della
Russia, per punirla del presunto coinvolgimento diretto nella crisi
ucraina, ma la spaccatura tra gli stati membri della UE sta mettendo
in evidenza la discontinuità e la fragilità della politica estera
europea.
Da un lato il Primo Ministro britannico
David Cameron preme sugli inasprimenti delle sanzioni suggerendo di
escludere la Russia dallo SWIFT internazionale (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), dall'altra la Francia che non
vuole vedere sfumare gli accordi già sottoscritti con Mosca per la
vendita della portaelicotteri Mistral, sostenendo che l'embargo non
può essere retroattivo alla data del 1° agosto del 2014 e tra
questi due Ungheria, Cipro, Slovacchia e Repubblica Ceca che
sostengono “insensate e controproducenti” le nuove sanzioni messe
in atto contro Mosca mentre sostengono che il ruolo dell'Unione
Europea dovrebbe essere a sostegno di attività diplomatiche più incisive per risolvere la crisi ucraina. L'Italia, che ricopre il
primo semestre di presidenza della UE e che ha messo a capo delle
politiche estere europee la ministra Federica Mogherini, sembra del
tutto balbettante e impreparata anche in virtù del fatto che questo
giro di vite nei confronti del Cremlino minaccia di avere pesanti
ripercussioni sulla nostra economia nazionale.
“Non ho notato che abbiamo raggiunto
qualcosa – ha dichiarato Bohuslav Sobotka, primo ministro ceco-
nella UE stanno cominciando a capire che il rafforzamento del
confronto tra Mosca e Bruxelles è pieno di perdite reali per ogni
europeo, date le forniture energetiche russe".
Ma l'inconsistenza di una solida e
credibile politica estera europea si manifesta anche su altri fronti,
la crisi irachena per citarne una o le posizioni, o meglio le non
posizioni assunte durante il conflitto israelo-palestinese: annunci,
proclami di sdegno e riprovazione, ma in realtà nulla di concreto se
non l'invio di generi di conforto alle minoranze irachene sotto
l'assedio dello Stato Islamico e qualche migliaio di mitragliatricidismesse per armare la resistenza dei combattenti curdi.
Ma si sa: l'Europa altro non è che una
“confederazione economica” alle dipendenze degli Stati Uniti e
non c'è da meravigliarsi che segua le regole dettate da Washington,
ma c'è il rischio che vada ad impelagarsi in un ginepraio da cui
sarebbe difficile venire fuori: l'America, nel suo delirio di
onnipotenza, sul piano della politica estera sta dimostrando
un'incapacità pari a quella europea: dapprima contraria al regime di
Bashar Al Assad, ora si vede quasi costretta a siglare degli accordi
con la Siria per poter agire militarmente sul suo territorio contro
la minaccia jihadista (che prima sosteneva in quanto ribelle al
regime siriano) a meno di non intervenire unilateralmente, ma in quel
caso non potrebbe più accusare la Russia di ingerenze sulla
sovranità nazionale dell'Ucraina, sarebbe sullo stesso piano.
In una situazione di instabilità
geopolitica come quello che stiamo affrontando, l'Europa rischia di
spaccarsi in due: una parte gli Stati a forti tendenze filo-americane
e dall'altra quelli che “simpatizzano” per Mosca. Anche l'assetto
geoeconomico ne risentirebbe in maniera drammatica per l'Europa
divisa anche su quello che avrebbe dovuto cementarne l'unione
politica, l'euro
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