Storia di mare
A vederla nel
porto sembrava la più bella. Non era tanto grande, ma le sue forme
aggraziate la rendevano maestosa fra tante regine del mare.
Si dondolava pigramente legata al suo pontile con la prora
dritta all'orizzonte. Pareva avesse il naso all'insù per
annusare il profumo della brezza che portava aria di
avventura. Uno scanzonato nocchiero camminava a passo lento lungo
la banchina assorto in chissà quali pensieri e l'urlo dei
gabbiani si univa al ritmico tintinnare degli stralli in una
canzone che s'ode in tutti i porti. A un tratto il suo sguardo
si fermò sulle sue forme leggiadre, ne rimase incuriosito e
sempre col suo passo lento entrò nell'osteria per un
bicchiere di rum. Non si soffermò tra i vecchi compagni
marinai, ma si sedette solo davanti alla finestra ad osservare
quella barca che l'aveva colpito. I suoi pensieri vagavano a
casaccio, non aveva bisogno di tenerli a freno, perché il
suo ingaggio era fra tre giorni avanti e si lasciava cullare
così, al ritmo di quella carena. Calmo e sereno attese il
tramonto e quando si recò alla locanda ritrovò i vecchi
amici. “Lupo che fai con quella faccia stralunata? Pare che tu
abbia visto un fantasma!”. Li guardò sornione e non disse nulla e
con la sua bottiglia andò nella stanza che aveva prenotato.
“Che strano-pensava-non avevo mai visto una barca così.
Sembra abbia una vita propria!”. E si addormentò sulla
veranda senza nemmeno levarsi gli stivali. Non era ancora
giorno quando si alzò. Gli era sempre piaciuto passeggiare
in solitudine per ascoltare la risacca e per vedere i colori del
cielo che prendevano forma, in fondo non amava troppo l'accecante
mezzogiorno, troppo brusio di gente chiacchierona , preferiva
le ore ammorbidite dal silenzio degli umani e a volte si domandava
se appartenesse davvero a quella specie. Fu il guizzo di un
pesce a distrarlo dai suoi pensieri assorti e si accorse di
essere vicino a quella barca che lo aveva colpito. L'uomo non si
meravigliò, ma tese la sua mano per accarezzarne la fiancata e
ne ammirò la sua eleganza discreta. Si meravigliò del fatto
che non ostentava la propria bellezza di fronte ai grandi
bastimenti che la circondavano, anzi, tentava di apparire
inosservata. Col solito passo lento andò verso una bitta li
vicino ad ascoltare i suoni amici e a guardare l'orizzonte, ma
non poteva trattenersi dal lanciare ogni tanto uno sguardo a quella
barca. Ne lesse il nome inciso sulla poppa: Piccola Volpe.
“Che strano nome-pensò- per una barca” ed andò via.
Preparativi, confusione, marinai sboccati e ancora ottusi dal
fumo della sbronza trascorsa gli davano fastidio. Aveva un
qualcosa nella testa che lo rendeva stranamente inquieto,
ma finalmente venne la sera, una tiepida sera musicale e lui
decise di
trascorrerla sul molo accanto alla sua Volpe. Una
pacifica luna rischiarava la serata e il vecchio marinaio
si trovò ancora una volta a navigare nell'oceano della
fantasia, a un tratto tra quei pensieri vaganti uno si
stagliò luminoso nella sua mente: voleva prendere il largo
da tutto e da tutti, gli costasse l'impiccagione. Cosa gliene
importava del resto di imbarcarsi su quel bastimento
sgangherato? Sarebbe forse morto in un combattimento coi
pirati per difendere un carico non suo o per una misera
manciata di dobloni. No era il caso di seguire il cuore e senza
pensarci troppo salì a bordo di quella strana barca.
Mollò gli ormeggi e tese una piccola vela a prua per prendere
il largo. La cosa era fatta ormai e non poteva più tornare
indietro! Uno strano senso di serenità gli riempiva
l'anima e con tranquillità uscì finalmente dal porto.
Era ancora
notte, il mare benevolo e le stelle danzavano intorno ad una
luna amica. Quando fu lontano dalla costa dispiegò tutte
le vele e decise la rotta: ovest. Gli piaceva l'idea di
avere la propria ombra davanti a sé per giocare a
rincorrerla,
era un gioco che faceva da bambino e ora che si sentiva
libero nel vento gli era ritornato improvvisamente in
mente. Intanto osservava meglio la sua barca: i lucidi ottoni,
gli eleganti fregi che ornavano la tuga, la linea snella e
slanciata della sua carena e la leggerezza con cui solcava le onde la
facevano assomigliare ad una bella donna, e poi quel nome che lo
aveva colpito: Piccola Volpe. Gli sembrava di averla avuta
sempre in mente senza saperlo, ma ora che era a bordo
lasciandosi portare sulle onde sentiva che avrebbe viaggiato
bene insieme a lei e, per Nettuno, non aveva bisogno di nessun altro
essere umano attorno. Fece un giro d'ispezione all'interno e si
meravigliò del fatto che sapeva esattamente dove
stavano tutti gli oggetti, le cabine, le paratie, perfino le
parti più nascoste come le sentine. Sapeva senza nemmeno cercarle
dove erano riposte le vele di riserva, le scotte, gli strumenti
di navigazione e tutto il resto. La sua sorpresa però fu grande
quando aprì il diario di bordo: sulla prima pagina era
disegnato a matita un lupo grigio.
Il resto della giornata
trascorse tranquillo nelle normali attività di bordo e mentre
regolava le scotte iniziò a parlare con lei come a una persona
in carne ed ossa, con affetto e gentilezza informandola di
quello che faceva: “Ora regolo un po' le scotte, piccola, se
le senti troppo cazzate fammelo capire in qualche modo. In fondo
io sono solo un nocchiero; sei tu che porti in viaggio la mia
vita e non vorrei mancarti di rispetto. Del resto in
questo sconfinato mare siamo solo io e te e dobbiamo andare
d'accordo in armonia” forse fu a causa di un oda improvvisa,
ma in quel momento la campana oscillò con un argentino
tintinnio e durante tutta la giornata osservò che tutte le volte che
si rivolgeva a lei quella campana tornava a tintinnare leggiadra.
“Corpo di mille balene-pensò- Stai a vedere che m'innamoro di una
barca!”. Arrivò la
sera e lui decise di trascorrere
la notte in coperta visto che l'aria era tiepida e profumata di
salsedine. Voleva tenerle compagnia e per passare il tempo decise di
raccontarle una novella che gli aveva raccontato un vecchio lupo di
mare.
Parlava dell'antico amore sfortunato tra il Sole e la Luna
che il destino impediva di incontrarsi e che si potevano vedere
soltanto da lontano rincorrendosi in eterno. Aveva accanto a sé
una bottiglia di rum e preso un sorso ne versò un po' sulla
coperta dicendo: “brindiamo insieme Piccola Volpe, al
nostro viaggio e alla nostra amicizia e si addormentò sereno
cullato dalle onde e dal suono degli spruzzi che
accarezzavano i fianchi della sua bella. Dopo tanti anni un
sorriso si distese sul suo viso bruciato dal sale. Trascorsero così
diversi giorni di tranquilla navigazione. Piccola Volpe, civettuola,
puntava la suo prora insolente verso ovest facendo tintinnare la sua
campana ogni volta che il marinaio le parlava e quando voleva
burlarsi di lui faceva vorticare velocemente la bussola per
fargli perdere l'orientamento. “Che dio mi
fulmini!-diceva il marinaio-Ora sono proprio convinto che tu abbia
un anima! Dispettosa come una bambina! Ma ora ti aggiusto
io!-aggiunse- Ti conduco in un porto di rozzi pescherecci e ti
ci lascio li 15 giorni a vedere se poi non puzzi di pesce!”
E scoppiò in una fragorosa risata che fece fuggire il
cormorano appollaiato su un pennone. Tra l'uomo e la barca si
stava creando un rapporto di simbiosi e pareva oramai che
si muovessero nel blu come una cosa unica: il natante
eseguiva eleganti manovre quasi spontaneamente e il marinaio sapeva
sempre cosa lei desiderasse per la sua cura e manutenzione: la
lavava e la lucidava con delicatezza stando sempre attento a non
essere tropo ruvido: la voleva bella e splendente come il primo
giorno che l'aveva vista. “Se tu potessi parlare-le disse un
giorno- è l'unica cosa che ti manca per essere perfetta!”.
“Lupo io so parlare” le rispose lei con voce gentile. A momenti
il pover'uomo non stramazzò per terra! Si aggrappò alla battagliola
e stropicciandosi gli occhi si guardò intorno in cerca di qualcuno!
Eppure non aveva bevuto nemmeno un goccio di rum! Da dove veniva
quella voce? “sei tu Piccola Volpe? Chiese con voce incerta.
“Certo che sono io, zuccone che non sei altro. Chi vuoi
che sia?”. ”Che mi venga un colpo!” esclamò il
marinaio, “Tutto mi potevo aspettare tranne una nave
parlante!”. “Era tanto che ti aspettavo, Lupo, ma tu eri troppo
assorto nel tuo da fare e non ti eri mai accorto di me. Ero
a Marsiglia e a Venezia, ero a Calais e sulle coste del Cile, ma tu
mi sei sempre passato accanto senza accorgerti di me e ho
continuato ad aspettarti per tutti questi anni, sapevo che
prima o poi saresti salito a bordo”. “Perché? Cosa
aspettavi da me?” “Io sono nata libera per vagare i sette mari,
ma in tutti questi anni di attesa ho conosciuto solo uomini
gretti che vedevano in me solo un guscio con cui traghettare
anime e merci, come se fossi solo un mucchio di fasciame e
manovre. Ho rischiato la mia vita per portarli sani in
un porto sicuro, ma giunti che eravamo mi lasciavano lì,
legata a una banchina, per andare a ubriacarsi, senza curarsi
delle mie ferite, delle mie vele lacere e spossate, del sale che
rodeva il legno della mia coperta. Avevo come amici solo i
gabbiani e i pesci, ma anche loro cambiavano di porto in porto ed
alla fine io restavo sempre sola”. “Ma dimmi -chiese il
marinaio- come hai imparato a
parlare?” “Devi
sapere che il vecchio maestro d'ascia che mi costruì aveva perso
in mare la figlia durante una tempesta, la sua nave si sfasciò
sugli scogli ed egli si salvò miracolosamente, ma della ragazza
si perse ogni traccia. Tornato che fu al suo villaggio decise di
costruire una barca ancora più bella di quella perduta e
si mise all'opera per mettermi sui flutti. Dicevano che il
pover'uomo avesse perduto il senno, ma mentre lavorava
al mio compimento parlava con me come se fossi una
creatura. Fu lui che mi chiamò Piccola Volpe, così come
affettuosamente chiamava la sua figlia. Mi trattava
come se
fossi viva e ascoltando le sue dolci parole
piene di magia e di speranza
imparai a parlare anche io. Un giorno mi disse che tutti in
paese lo consideravano matto e mi chiese di promettergli
che non avrei mai rivelato a nessuno la mia capacità di parlare
se non quando avessi compreso che un solo uomo poteva capire
senza meravigliarsi”“ Ma io cosa c'entro in tutto questo?” ti
vidi un giorno al Cairo, camminavi sulla banchina col tuo sacco
in spalla, eri sbarcato da un bastimento e mentre ti
dirigevi al porto fosti fermato da un bambino. Era visibilmente
povero e ti guardava con timore, non osava chiederti una moneta,
ti toccò timidamente la cerata. Tu eri assorto in chissà
quali pensieri e senza dire niente infilasti una mano in tasca e
gli donasti una manciata di dobloni. Ti guardavo: pareva non
esserti neanche accorto di averlo fatto e tirasti dritto
per la tua strada, mentre il bimbo si guardava sbigottito tra le
mani quel piccolo tesoro” “Perbacco -disse lui- non me
lo ricordo”. “Lo so, sei sempre stato distratto per le cose
terrene, per questo mi piacesti subito e capii che solo con
te avrei potuto parlare dei miei sogni. Il mio costruttore mi
disse pure che mi avrebbe svelato un grande segreto, ma ahimè,
morì prima di poterlo fare e da quel giorno fui sola in balia del
mio destino. Dimmi che non mi tradirai mai Lupo?!” “Giammai
Piccola Volpe, ora che ti conosco meglio il mare non mi sembra
nemmeno più tanto vasto e misterioso, sarà bello navigare
insieme”. I giorni trascorsero sereni, il vento era favorevole e
tutto sembrava andare per il meglio, ma il destino era in
agguato! Un giorno, improvvisa, si scatenò una terribile
tempesta. Gli alti marosi iniziarono a spazzare la coperta della nave
colpendo violentemente le fiancate con una furia tale che
pareva dovesse sfasciarle. Non bastò terzarolare le vele
per contrastare la furia di quel vento inaspettato e il marinaio
con grandi sforzi fu costretto ad ammainare quelle che
rimanevano sane mentre la barca coraggiosamente decise di volgere la
prua al vento per contrastare la spinta laterale delle onde. Solo un
piccolo velaccino a proravia consentiva le manovre essenziali a
governare. Uno schiocco sordo coprì improvviso l'ululare
della tempesta, la nave prese a improvvisa ruotando su se stessa come
impazzita ed il nocchiero si accorse sbandare sbalordito
che il timone non rispondeva ai suoi comandi. Come una
furia scese giù in coperta per tentare di riparare il
danno, ma la pala era già frantumata e in quelle condizioni non
c'era verso di porre rimedio. Allora corse di nuovo su in
coperta e lanciò in acqua un grosso secchio legato ad una cima
nella speranza di dare stabilità alla nave, ma un onda più
forte gliela strappo dalle
mani ed a momenti non lo
spediva fuori bordo. L'orrore e la paura riempirono i suoi
occhi: tra gli spruzzi dei marosi vide la costa frastagliata
apparire improvvisa e a un tratto capì che tutto era perduto,
né lui né Piccola Volpe potevano oramai far nulla! Era la
fine! Neppure per un'istante pensò di calare in mare una
scialuppa. Afferrò una solida cima e si legò all'albero
di maestra. “mia Piccola Volpe -sussurrò- il mio destino
è rimanerti accanto. Non lascerò il tuo spirito vagare
solo nel vento. Sia quello che sia”. Un terribile rumore di
assi sfasciate coprì per un momento la furia degli elementi, tutto
si capovolse, non c'era più orizzonte né cielo né terra e a
un tratto tutto si fece buio. Chissà quanto tempo era passato,
un tiepido calore lo destò dal suo torpore. Era disteso su una
spiaggia disseminata qua e là da qualche scoglio. Cos'era successo
si domandò ancora confuso. Si toccò il corpo indolenzito, non
aveva niente di rotto e quando le sue mani toccarono la cima che
aveva ancora legata in vita ricordò tutto: la tempesta, il
naufragio, la paura di non poter agire e subito si mise in
piedi cercando affannosamente intorno a se i resti della sua
sfortunata nave. Niente! Maledizione, niente! Mosse qualche passo
barcollante cercando di orientarsi quando vide poco più in là
un corpo disteso sulla sabbia. Corse verso quella direzione,
incespicò, la bocca piena di rena. Si rialzò e corse ancora. Un
corpo di donna. Respirava ancora. L'uomo la scosse e questa
aprì gli occhi di un intenso color di mare e gli gettò le braccia
al collo. “Lupo! -esclamò- e scoppiò in un pianto accorato-
Lupo!” lui cadde in ginocchio: aveva già capito “Sei tu? -chiese
con voce tremante- sei tu Piccola Volpe?” “Si mio comandante
son io. Questo è il segreto che non potevo rivelare: sono la
figlia del maestro d'ascia che sparì nei flutti e solo chi mi
avesse amata contro il destino mi avrebbe ridato le
sembianze umane. Grazie!”. Un sole benevolo si chinò su di
loro e si unì a quell'intenso abbraccio che li strinse a
lungo. Poi i due si alzarono, si presero per mano e lentamente
sparirono verso le dune. Ma questa è una favola, si sa, la vita
è molto più crudele.
Fine
27 agosto 2010.
dedicata all'unico grande amore conosciuto